Revisione di quanto completato; chi è un arhat? Arhat: chi è costui? Scopri cos'è "arhat" in altri dizionari

Ciao, cari lettori!

Molte persone interessate al Buddismo e agli stati che un Buddista raggiunge costantemente nella ricerca dell’illuminazione pongono la domanda: “Chi è questo Arhat?”

La strada verso il risveglio non è facile; è paragonata all'attraversamento delle acque tempestose di un fiume. Una persona comune non può sfuggire al ciclo della rinascita finché non si pone un obiettivo chiaro e impara a controllare la propria coscienza con l'aiuto di esercizi speciali e meditazione.

A seconda che commetta azioni buone o cattive, si assicura solo un'altra rinascita, superiore o inferiore.

Ma tutto cambia quando un credente diventa una “persona nobile”, cioè intraprende un percorso virtuoso che porta al suo caro obiettivo.

Nel ramo più antico dell'insegnamento buddista, tale obiettivo è il nirvana stesso, mentre nell'altro ramo è raggiungere il risveglio a beneficio di tutti gli esseri viventi.

Chiunque sia entrato in questo nobile sentiero diventerà sicuramente un arhat, cioè una persona completamente illuminata, liberata dalle oscurazioni della coscienza, che non è più destinata a nascere in nessuno dei mondi del samsara dopo essere entrata nel parinirvana.

Ma se ciò accadrà nell'attuale rinascita dipende dallo stadio di progresso lungo il percorso in cui si trova il credente in questo momento.

Diamo un'occhiata a chi è questo santo in diverse aree dell'insegnamento.

Nelle scuole del primo movimento buddista

Nell'India pre-buddista, il termine "arhat", che denota una persona santa, era strettamente associato al potere magico dell'energia e dell'ascetismo.

I buddisti distinguono chiaramente tra i concetti di buddista e santo indiano: un arhat. Nel Buddismo, il magico potere divino di questo santo non è più decisivo nel determinare le sue caratteristiche distintive o la sua missione.

Nelle prime scuole buddiste c'erano opinioni sulla relativa perfezione degli arhat. In generale, le scuole predicavano che i Buddha hanno una natura trascendentale e soprannaturale e che gli arhat sono soggetti a deviazioni dal sentiero ed errori.

Alcune scuole sostenevano che un bodhisattva è superiore a un arhat, perché quest'ultimo può commettere errori e rimanere ignorante.

Ad esempio, il sutra Nagadatta della scuola Sarvastivada dice che il demone Mara si incarnò come il padre della bhikkhuni Nagadatta e cercò di convincerla che era meglio raggiungere un grado inferiore di arhat piuttosto che cercare di diventare completamente illuminato (samyaksambuddha).

Ha detto: “Stai pianificando una cosa troppo seria. La Buddità è molto difficile da raggiungere. Ci vogliono centinaia di migliaia di kalpa per diventare un Buddha Dal momento che pochissime persone si risvegliano, perché non ti sforzi per raggiungere lo stato di arhat? L’esperienza equivale al nirvana ed è anche facile da raggiungere”.

Al che Nagadatta rispose: “La saggezza del Buddha può aiutare innumerevoli persone a raggiungere il risveglio. E in questo gli arhat sono inferiori a lui”.

Durante questo periodo si credeva anche che gli arhat non si fossero completamente liberati da tutti i desideri, che non avessero raggiunto la completa perfezione e potessero tornare allo stile di vita di una persona comune.

Nel Buddismo Theravada

Secondo i Theravadin, un arhat è una persona che ha raggiunto, che si è sbarazzata di tutte le radici malsane da cui nascono le catene del samsara.


Dopo la morte, non rinasce in nessun mondo, poiché i fili (catene) che collegano una persona al ciclo delle rinascite finalmente scompaiono.

Il Canone Pali a volte usa la parola tathagata come sinonimo di arhatu, sebbene sia solitamente usata per riferirsi allo stesso Shakyamuni.

Dopo l'immersione nel nirvana, i cinque aggregati -

  • forma fisica,
  • sentimenti e sensazioni,
  • percezione,
  • formazioni mentali,
  • coscienza

continuerà a funzionare, sostenuto dalla forza vitale del corpo. Questo stadio è chiamato nirvana con fenomeni residui.

Ma non appena il santo muore, i cinque aggregati si disintegrano con il corpo fisico e cessano di funzionare, distruggendo così ogni traccia di lui nel mondo materiale e liberandolo completamente dalla miseria del samsara.


Ora questo è chiamato nirvana senza fenomeni residui. Con la morte arriva l'illuminato parinirvana.

Nel Buddismo Theravada, lo stesso Shakyamuni viene inizialmente identificato come un arhat, così come lo sono i suoi seguaci illuminati. Sono esenti da tutti i contaminanti:

  • avidità
  • odio
  • idee sbagliate
  • ignoranza,
  • desideri appassionati.

Privati ​​di tale “eredità” che porterebbe inevitabilmente a una futura rinascita, questi santi conoscono e comprendono la realtà qui e ora.

Questa virtù dimostra la loro purezza impeccabile, il vero valore e il raggiungimento dell'obiettivo finale: il nirvana.

C'è stata una tendenza nelle scuole Theravada a negare la possibilità dello status di arhat per i laici. Sebbene secondo il Pitaka sia aperto a tutti, in un periodo successivo si credette tra il sangha monastico Theravadin che questo stadio fosse accessibile solo a coloro che indossavano la tonaca.


Se accadeva che un laico diventasse santo, entro un giorno avrebbe dovuto unirsi al sangha o morire.

Nel Canone Pali, Ananda afferma che un monaco può raggiungere il nirvana in quattro modi:

  • sviluppa prima l'equilibrio mentale, e poi la conoscenza delle cause e delle relazioni profonde;
  • sviluppa prima la conoscenza delle cause e delle relazioni profonde, e poi l'equilibrio mentale;
  • entrambi si sviluppano per fasi;
  • La mente del monaco è piena dell'eccitazione del dharma, sviluppa la pace della mente e si libera delle catene del mondo samsarico.

Viene chiamato un novizio che è appena entrato nel sentiero che conduce all'illuminazione sotapanna. Apprende gli insegnamenti, migliora le sue qualità morali e rafforza il suo rispetto per i tre gioielli buddisti. L'illuminazione lo raggiungerà non più tardi di sette rinascite.


Siamo saliti al livello successivo sakadagami. Nasceranno di nuovo nel mondo umano, poi diventeranno arhat.

Coloro che si sono sbarazzati dell'avidità e dell'odio (non li sentono più), ma hanno resti di delusioni, sono chiamati anagami o senza ritorno.

Dopo la morte, gli Anagami rinasceranno non nel mondo umano, ma in paradiso, nel Rifugio Puro, dove vivono solo loro. Lì raggiungeranno il completo risveglio.

Lo stato di Arhat completa questo percorso di liberazione.

Nel Buddismo Mahayana

I buddisti Mahayana considerano il sé l'ideale a cui tendere nelle ricerche spirituali.


La gerarchia delle fasi del raggiungimento dell’illuminazione è la seguente:

  • Arhat,
  • pratyekabuddha,
  • samyaksambuddha,
  • Tathagata.

Rispetto all'obiettivo di diventare un bodhisattva completamente illuminato, il percorso shravaka cercare la liberazione personale dal mondo samsarico è considerato egoista e indesiderabile. Esistono anche diversi testi Mahayana che sostengono che il perseguimento dello stato di arhat e la liberazione personale non sono in linea con gli obiettivi del Mahayana.

Invece di aspirare a diventare un arhat, gli aderenti Mahayana sono incoraggiati a intraprendere il sentiero del bodhisattva e a non tornare al livello di arhat o shravaka. Pertanto, da questo punto di vista, un arhat deve avanzare per diventare gradualmente un bodhisattva.

Se un arhat non riesce a farlo durante la vita in cui ha raggiunto lo stato di arhat, allora si immerge in uno stato di profondo samadhi - vuoto, per passare da lì al sentiero del bodhisattva quando sarà pronto.

Secondo il Sutra del Loto, ogni vero arhat alla fine accetterà il Mahayana.

Negli insegnamenti Mahayana, si ritiene che lo shravaka guidi le sue aspirazioni per la paura di rimanere nella ruota della reincarnazione, che lo rende incapace di lottare per raggiungere la Buddità. Gli manca il coraggio e la saggezza di un bodhisattva.

I bodhisattva appena nati sono talvolta paragonati agli shravaka e agli arhat. Il Prajnaparamita Sutra elenca sessanta bodhisattva che divennero arhat nonostante gli sforzi compiuti sul sentiero del bodhisattva.

Mancavano della comprensione della prajnaparamita e della capacità di progredire come un bodhisattva sulla strada verso la piena illuminazione. Ciò è stato impedito dall’attaccamento e dalla paura della rinascita che sorgevano nella mente.

Nel Prajnaparamita Sutra, queste persone sono paragonate a un gigantesco uccello senza ali, che precipita a terra dalla cima del Sumeru.


Nel movimento Mahayana, il raggiungimento dello stato di arhat da parte di uno shravaka è considerato un risultato minore rispetto alla piena illuminazione. Ma questi illuminati sono rispettati per i loro relativi risultati.

Pertanto, il regno dei Buddha è raffigurato come abitato sia da shravaka che da bodhisattva. I risultati degli arhat sono considerati impressionanti perché vanno oltre il mondo terreno.

Altre denominazioni buddiste dell'Asia orientale hanno adottato questo punto di vista. Tra i gruppi speciali di arhat, sono venerati i Sedici, i Diciotto e i Cinquecento Arhat.


Sedici Grandi Arhat

I primi ritratti famosi di questi santi furono dipinti dal monaco cinese Guanxu nell'891 d.C. Li ha donati al Tempio Shenching, che si trova nella moderna Hangzhou, dove sono custoditi con cura e rispetto.

Conclusione

Per certi aspetti, i due percorsi – lo stato di Arhat e la piena illuminazione – hanno una base comune. Tuttavia, la loro caratteristica distintiva è che la dottrina Mahayana insiste sul distacco emotivo e cognitivo fino alla sua logica conclusione.

ARHAT

ARHAT

ΑΡHAT (Pali arahant, sanscrito arhat-degno) - nel buddismo Theravada “ortodosso”, il livello più alto che un seguace del Buddha che ha preso i voti monastici può raggiungere. Per raggiungere questo risultato studia le regole disciplinari e inizia un addestramento morale in quattro parti (shala): 1) rifiuto di causare danno - danno (ahimsa) direttamente e anche indirettamente a tutti gli esseri viventi e coltivando la compassione per loro (karuna) ; 2) evitare l'appropriazione dei beni altrui non solo con le parole, ma anche con il pensiero, nonché con l'invidia; 3) fedeltà al voto di castità, che comprende non solo l'astinenza dai rapporti, ma anche dai desideri carnali; 4) veridicità: evitare qualsiasi menzogna e assenza di astuzia. Alla formazione morale seguono esercizi di controllo dei sensi, costante attenzione a se stessi e coltivazione della compassione per gli esseri viventi (maitri). Successivamente si può iniziare la contemplazione solitaria, poi le fasi della meditazione (quattro dhyana) e infine l'acquisizione dei superpoteri (ad esempio, precedenti le proprie e altrui reincarnazioni) e la perfezione dell'onniscienza (Dighanikaya I. 63-85 ).

Nelle classificazioni della soteriologia theravadina, arhat è il quarto e ultimo stadio della perfezione, preceduto dagli stadi di “entrare nella corrente” del samsara per attraversarlo (sotapanna), “ritorno una volta” al samsara (sakadagamin) e “non ritorno” ad esso (anagamine). Lo stadio di arhat differisce da questi stadi in quanto lui, cioè l'arhat, deve entrare nel nirvana già in questa vita. Nel capitolo dedicato agli arhat, il compilatore del Dhammapada caratterizza il “degno” come segue (vv. 93-94): “I suoi desideri sono distrutti, ed egli non è attaccato al cibo; il suo destino è la liberazione, libero da desideri e condizioni. Il suo percorso è come quello degli uccelli nel cielo, difficile da comprendere. I suoi sentimenti sono calmi, come cavalli imbrigliati da un conducente. Ha rinunciato al suo orgoglio ed è privo di desideri. Anche gli dei ne sono gelosi” (traduzione di V. N. Toporov). Nei testi del Vinaya Pitaka, un arhat è caratterizzato come un “uomo superiore” (uttaramanussa). I discepoli più vicini al Buddha, Ananda, Sariputta, Maudgalyayana e quasi tutte le figure di spicco della prima comunità monastica buddista (anche alcune monache) erano considerati arhat. L'Arhat di tutti gli Arhat è il Buddha - "perfetto, avendo raggiunto la più alta illuminazione, dotato di [eccellente] conoscenza e comportamento, benedetto... insegnante degli dei e delle persone" (Digha Nikaya I. 49 ss.).

Tuttavia, subito dopo la morte del Buddha, nella sua comunità iniziarono le discussioni sull'impeccabilità dell'ideale arhat, che portarono al primo scisma significativo nella storia della comunità buddista: l'auto-separazione dei Mahasanghika, quando dopo la morte del Buddha -chiamato. il secondo concilio buddista nella metà del IV secolo. AVANTI CRISTO e. Mahadeva affermò che anche un monaco arhat “perfetto”, avendo raggiunto il nirvana, può essere soggetto a “impurità” corporea e non avere onniscienza. Il trattato polemico Theravadin “Kathavathu” (“Punti di discussione”), il cui nucleo si formò probabilmente nel III secolo. AVANTI CRISTO e., testimonia la polemica delle “ortodossie” buddiste con gli “eretici” sulla possibilità dell'impurità corporea in un arhat, sul suo avere gli stessi “superpoteri” (iddhi) del Buddha, così come sulla possibilità per un laico per raggiungere gli stessi risultati (sezioni II-IV). I dubbi dei primi “eretici” divennero il terreno su cui si sviluppò un ideale coerente dell’arhat in quanto tale tra i Mahayanisti, che nel “Vimalakirtinirdesha Sutra” (II secolo) e nel “Saddharmapundarika Sutra” (ca. III secolo) contrapponeva l'ideale egocentrico dell'arhat a quello altruistico del bodhisattva.

VK Shokhin

Nuova Enciclopedia Filosofica: In 4 voll. M.: Pensiero. A cura di VS Stepin. 2001 .


Sinonimi:

Scopri cos'è "ARHAT" in altri dizionari:

    Arhat: Arhat nel Buddismo è una persona che ha raggiunto la completa liberazione dai klesha ed è emersa dalla “ruota delle rinascite”, ma non ha il Buddha onniveggente Arhat (lat. Siraitia grosvenorii) una pianta, una vite perenne della famiglia ... ...Wikipedia

    Arhat- – koné undíphilosophie sýnda zhaudy zhenushí degendi bildiredi. Arhat dep nirvanaga (zhogalu, sonu, yagni bul dunienin problemalarynan bossana, sanany tazartu) zhetu, sananyn tynysh agymyn buzatyn kushtarlyk kumarlyk sesimderin zhengen adamdy itady... Filosofia terminerdin sozdigi

    Nel Buddismo Hinayana, un essere che ha raggiunto la liberazione (nirvana) dalla catena delle rinascite (samsara)... Grande dizionario enciclopedico

    - (sanscrito arhat. Pali arahant, lett. “degno”), nella mitologia buddista: 1) epiteto di Buddha; 2) nella mitologia Hinayana, una persona che ha raggiunto il più alto livello di sviluppo spirituale, cioè il nirvana. Il percorso per raggiungere lo stato A. si divide in quattro... ... Enciclopedia della mitologia

    Sostantivo, numero di sinonimi: 1 santo (51) Dizionario dei sinonimi ASIS. V.N. Trishin. 2013… Dizionario dei sinonimi

    Nel Buddismo Hinayana, un essere che ha raggiunto la “liberazione” (nirvana) dalla catena delle rinascite (samsara). * * * ARHAT ARHAT, nel Buddismo Hinayana (vedi HINAYANA) un essere che ha raggiunto la “liberazione” (nirvana (vedi NIRVANA)) dalla catena delle rinascite (samsara (vedi... ... Dizionario enciclopedico

    - (Sanscrito, Pali arahat, letteralmente “degno”) una persona che ha superato il percorso in quattro fasi del miglioramento spirituale e ha raggiunto il suo livello più alto (è entrato nella corrente; è tornato una volta; non è tornato; arhat). A. includere... ...il Buddismo

    ARHAT- (Sankt.): nel Buddismo, colui che ha raggiunto una corretta comprensione della natura dell'Aldilà ed è quindi pronto a completare la sua vita in questo mondo dopo la sua perfezione finale e la liberazione dalle cinque “catene” che ancora lo limitano. .. Saggezza eurasiatica dalla A alla Z. Dizionario esplicativo

    Arhat- (Arhat) Nel Buddismo, colui che ha raggiunto una corretta comprensione della natura dell'Aldilà, ed è quindi pronto a completare la sua vita in questo mondo dopo la sua perfezione finale e la liberazione dalle cinque catene che ancora lo limitano, e.. ... Dizionario dello yoga

    Nel Buddismo, Hinayana, l'ultima fase della pratica per raggiungere l'illuminazione, è un santo che ha raggiunto l'obiettivo del Nirvana ed è immerso per sempre in esso. Nel Mahayana l'ideale dell'arhat è considerato irraggiungibile e viene sostituito dall'ideale del bodhisattva, il salvatore di tutti gli esseri viventi.... ... Termini religiosi

Libri

  • Arhat e Tara. Organizzatore della vita e trasformatore del mondo. Metodologia per costruire relazioni armoniose, Domasheva-Samoilenko N. Categoria: Esoterismo Editore: Amrita, Produttore: Amrita,
  • Arhat e Tara. Organizzatore della vita e trasformatore del mondo. Metodologia per costruire relazioni armoniose tra un uomo e una donna, Vladimir Samoilenko, Nadezhda Domasheva-Samoilenko, Questo libro rivela l'essenza delle Leggi del Cosmo, utilizzando le quali un uomo e una donna non solo creeranno una famiglia basata sull'amore, sull'armonia e armonia, ma lo svilupperà anche in una Coppia di Stelle, possedendo... Categoria: Esoterismo Editore: Svet, Produttore:

Arhat(Sanscrito arhat, Pali arahant, cinese lohan, alohan, cor. nahan, arahan, giapponese arakan, “potente”, “degno”) - nel Buddismo Theravada “ortodosso” il livello più alto che si può raggiungere seguace di Budda che presero i voti monastici.

Per raggiungere questo risultato studia le regole disciplinari e inizia la formazione morale in quattro parti (sila):

1) rifiuto di causare danno (ahimsa) direttamente e anche indirettamente a tutti gli esseri viventi e coltivazione della compassione (karuna) per loro;

2) evitare l'appropriazione dei beni altrui non solo con le parole, ma anche con il pensiero, nonché con l'invidia;

3) fedeltà al voto di castità, che comprende non solo l'astinenza dai rapporti, ma
e completa rinuncia ai desideri carnali;

4) veridicità: evitare qualsiasi menzogna e assenza di astuzia.

Alla formazione morale seguono esercizi di controllo dei sensi, costante attenzione a se stessi e coltivazione della compassione per gli esseri viventi (maitri). Successivamente si consiglia di iniziare la contemplazione solitaria, poi le fasi della meditazione (quattro dhyana) e, infine, l'acquisizione dei superpoteri (come vedere le proprie e le altrui reincarnazioni precedenti), nonché la perfezione dell'onniscienza (Digha Nikaya 1,63-85).

Arhat nelle classificazioni della tradizione Theravada è il quarto e ultimo stadio di perfezione, che è preceduto dalle fasi di “entrare nella corrente” del samsara per attraversarla (pali sotapanna), “ritornare una volta” al samsara (sakadagamin) e il “non ritorno” ad esso (anagamine). Lo stadio dell'Arhat differisce da questi stadi in quanto egli deve raggiungere il nirvana già in questa vita.

Le formule per l'autoconsapevolezza degli Arhat sono spesso citate nei testi pali, come ad esempio:

“Ho avuto una visione, la liberazione del mio cuore è diventata irremovibile, questa
la mia ultima nascita, non avrò ulteriori nascite"

(Samyutta Nikaya 11.171, 111.28, IV.8, V.204; Anguttara Nikaya 1.259, IV.50, 305, 448).

Nel capitolo dedicato agli Arhat, il compilatore del famoso Dhammapada caratterizza i “degni” come segue (vv. 93-94):

“I suoi desideri sono distrutti e non è attaccato al cibo; il suo destino è la liberazione, libero da desideri e condizioni. Il suo percorso, come quello degli uccelli nel cielo, è difficile da comprendere. I suoi sentimenti sono calmi, come cavalli imbrigliati da un conducente. Ha rinunciato al suo orgoglio ed è privo di desideri. Anche gli dei ne sono gelosi."

(tradotto da V.N. Toporova),

e nei testi del Vinaya Pitaka, l'Arhat è caratterizzato molto brevemente - come un “uomo superiore” (uttaramanussa). I discepoli più vicini al Buddha erano considerati arhat:

Ananda, Maudgalyayana e Shariputra, così come quasi tutte le figure di spicco della prima comunità monastica buddista (comprese alcune monache). L'Arhat di tutti gli arhat è considerato il Buddha stesso.

"perfetto, altamente illuminato, dotato di conoscenza e condotta [superiore], benedetto... maestro degli dei e degli uomini"

(Digha Nikaya 1.49, ecc.).

Tuttavia, subito dopo la morte del Buddha, nella sua comunità iniziarono le discussioni sulla possibilità che l'ideale dell'Arhat potesse essere impeccabile, il che portò all'emergere del primo scisma significativo nella storia della comunità buddista: l'auto-separazione del Buddha. Mahasanghika: dopo il cosiddetto 2° Concilio Buddista (vedi Concili Buddisti) della metà del IV secolo. AVANTI CRISTO. Il “rinnovazionista” Mahadeva affermò che anche un monaco arhat “perfetto”, avendo raggiunto il nirvana, può essere soggetto ad “impurità” corporea e non possedere l’onniscienza. Il trattato polemico Theravadin "Kathavathu" (vedi testi dell'Abhidharma), il cui nucleo
potrebbe essersi sviluppato già nel III secolo. a.C., testimonia le polemiche delle “ortodossie” buddiste con gli “eretici” sulla possibilità che un Arhat abbia “impurità” corporee, sulla sua capacità di possedere gli stessi “poteri” (iddhi) del Buddha, nonché sulla la possibilità per un profano di raggiungere gli stessi risultati (Sezioni II-IV).

I dubbi dei primi “eretici” divennero la base su cui crebbe la critica coerente dell'ideale dell'Arhat, in quanto tale, nel Mahayana. Le loro principali rivendicazioni nei confronti di questo ideale, che trovò l'espressione più vivida nel Vimalakirti-nirdesha Sutra (II secolo) e nel Saddharmapundarika Sutra (III secolo), erano associate al suo egocentrismo, a cui i Mahayanisti si opponevano all'ideale altruistico di il bodhisattva.

Nel buddismo cinese, un Arhat è una persona che ha raggiunto il più alto sviluppo spirituale. In Cina, Corea e Giappone, l'idea dello stato di arhat come stadio più alto nel percorso per diventare un Buddha si fonde con il taoismo, l'idea di un saggio eremita (xian zhen), che raggiunge la longevità o l'immortalità attraverso regolamenti speciali e con l'aiuto dell'elisir di longevità. Gli Arhat agiscono solitamente come parte di gruppi più o meno estesi.

Gruppo 16 Arhat elencato per la prima volta nell'op. “Dai Tang si yu ji” (“Note sulla regione a ovest dal Grande Tang”) di Xuanzang (VII secolo), comprende 16 figure mitologiche indiane e leggendarie del buddismo, ad esempio Rahula - il figlio maggiore del Buddha Shakyamuni e uno dei primi suoi studenti, Pindola, il cui compito è preservare gli insegnamenti del Buddha dopo la partenza di Shakyamuni per il nirvana fino alla comparsa di Maitreya nel mondo; Asita è un eremita che visse sul monte Gridhrakuta e divenne un seguace del Buddha dopo aver acquisito familiarità con i suoi insegnamenti. Successivamente in Cina diventano più popolari 18 Arhat: entro le 16 ind. le cifre sono state aggiunte alle cifre
Buddismo cinese - Kumarajiva(metà IV - inizio V secolo), patrono del buddismo, imperatore Liang Wu-DI(diritti 502-549); in altri set successivi gli ultimi due furono sostituiti Bu-day he-shan(lett. "Monaco con una borsa" - nella mitologia cinese, la divinità della gioia, della prosperità), il bodhisattva Guan-yin (Avalokiteshvara), il monaco Dharmatrata (in Cina noto come Fa-jiu), ecc.

Nei successivi culti misti taoista-buddisti, gli Arhat di origine indiana vengono sostituiti, soprattutto nella credenza popolare, da personaggi i cui prototipi erano vere e proprie figure del buddismo cinese, come Wu-ke, che si narra si stabilisse sulla punta dei rami degli alberi (da qui il suo soprannome “Nido di corvo”); poeti eremiti dell'VIII secolo. Han-shan, Feng-gan, Shi-de; uno dei fondatori della scuola della Terra Pura (jingtu-zong) in Cina, Hui-yuan; uno dei primi dieci discepoli del Buddha Kasyapa (o Mahakashyap); grande poeta buddista, autore di Buddhacharita (Vita di Buddha) Ashvaghosha.

Esistono altri gruppi di Arhat, molto più numerosi, fino a trecentocinquecento, le cui sculture o dipinti spesso riempiono la maggior parte dei templi buddisti cinesi e misti buddisti-taoisti. Queste immagini sono molto diverse: santi buddisti tradizionalmente impassibili o sorridenti, eremiti di tipo taoista con tratti caratteristici enfatizzati, persone in burocrazia e persino
abiti imperiali, sorridenti, ridenti, severi, distaccati. Varie sono anche le pose: figure immobili immerse nella contemplazione di sé; santi che guardano con tristezza l'imperfezione del mondo; mentori che predicano alle persone o hanno conversazioni intime, ecc. Gli attributi sono altrettanto numerosi: bastoni, bacchette, fiori (il più delle volte fiori di loto), ciotole per l'elemosina e per il vino, grani del rosario, spade, ecc. Le immagini degli Arhat sono diventate uno dei soggetti preferiti della pittura cinese (oltre che coreana e giapponese); Gli Arhat, insieme agli eremiti taoisti, si trovano spesso come indovini, combattenti contro gli spiriti maligni e paladini della giustizia nelle opere di letteratura narrativa popolare.

PRENOTA DUE

ARHATS DEL BUDDHISMO

introduzione

Nel Buddismo la tradizione degli Adepti è solo leggermente velata. Per secoli, gli aderenti alla Dottrina hanno cercato di raggiungere la pace interiore, che è un attributo integrale dell'essere umano perfetto. Immediatamente dopo la fondazione della Confraternita, ai seguaci della filosofia buddista fu insegnato che la religione poteva essere presa alla lettera o conosciuta attraverso l'esperienza mistica. Chi si accontenta soltanto di affermare la propria fedeltà ha solo il diritto di contare su qualche consolazione personale. Anche se avessero una conoscenza sufficiente per esaminare la struttura del sistema, non sarebbero in grado di conoscere la forza vivente del Dharma attraverso l'esperienza personale. Per loro è improbabile che diventino adepti, poiché l’incentivo a raggiungere l’illuminazione non è abbastanza forte.

I più grandi misteri del Buddismo erano riservati ai più sinceri, a coloro che obbedivano all'impulso di mantenere la disciplina e dedicare la vita e il cuore all'attuazione della Legge. Nella scuola meridionale tale devozione richiedeva la vita monastica, la cui condizione necessaria era la rinuncia a tutti gli obblighi e attaccamenti personali. Nella scuola del nord, tutto non era così duro e la vittoria su se stessi era alla portata di tutti, indipendentemente dal luogo di residenza, occupazione o professione. Il sistema Mahayana arrivò al punto di riconoscere che l'adepto poteva essere raggiunto senza accettare il Buddismo o studiare con alcun insegnante. La luce può provenire solo dall’interno e alcuni dei grandi saggi erano particolarmente venerati per aver raggiunto l’illuminazione da soli.

Un Adepto Buddista è solitamente chiamato Arhat o Rahat. I concetti occidentali e orientali di adeptato non coincidono per certi aspetti. L'Adepto europeo era molto più interessato ai problemi della politica, dell'educazione e della scienza del mondo materiale rispetto all'iniziato orientale. Tuttavia è necessario chiarire ancora una questione: contrariamente all’opinione prevalente in Occidente, il Buddismo non è affatto una dottrina di non-azione. Non dà credito all’individuo che si preoccupa esclusivamente del proprio miglioramento. La sua posizione è che il miglioramento esteriore della società deve scaturire dall'illuminazione interiore dell'essere umano. Di conseguenza, l'arhat realizza il suo scopo utilizzando i poteri yogici contenuti in lui, e la sua sfera di attività non viene rivelata dalle manifestazioni violente della sua personalità oggettiva. Inoltre, il Buddismo non presenta l’arhat come un superuomo. L'obiettivo a cui aspira il saggio è l'identificazione con la verità del mondo. Anche la saggezza deve essere coerente con la Legge.

Come risulta dal concetto generale, gli arhat orientali non divennero governanti di nazioni, conquistatori o brillanti pensatori. Rimasero nel sangha e raramente esercitarono alcuna influenza al di fuori della cerchia dei loro discepoli con la loro gioia spontanea. Il loro codice di leggi proibiva loro di vivere nella ricchezza e nel lusso, ma non consideravano in alcun modo queste restrizioni una sfortuna. Alcuni arhat, ovviamente, raggiunsero fama e onore, ma sempre come insegnanti e persone di eccezionale gentilezza e modestia. Se qualcuno di loro assumeva per un momento un aspetto minaccioso, era solo per spiegare chiaramente qualche istruzione specifica a un seguace confuso o capriccioso. Loro, come il mare, potevano permettere la comparsa di increspature in superficie, ma le profondità erano sempre calme e silenziose.

All'Arhat buddista, come all'Adepto occidentale, viene attribuita la capacità di compiere miracoli. Nel lamaismo, un'enfasi speciale è stata posta proprio su questo lato dell'idea generale. In effetti, la maggior parte dei miracoli attribuiti ai saggi buddisti erano semplicemente descrizioni di poteri interiori in forma simbolica e non dovevano essere intesi in senso letterale. I miracoli non sono accaduti persone UN attraverso le persone e il miracoloso in realtà è avvenuto come risultato naturale della continuazione della realizzazione interiore. Era sempre la Legge che si adempieva e, a coloro che non lo capivano, sembrava sorprendente.

C'è una differenza di opinioni tra i buddisti moderni riguardo alla dimensione della Gerarchia degli Adepti. La Scuola Settentrionale credeva implicitamente che i grandi maestri del mondo, compresi i non buddisti, facessero parte del governo supremo. Questa Fratellanza invisibile degli illuminati è il vero Sangha, e l’assemblea del mondo materiale ne è solo una debole parvenza. Il Buddismo, tuttavia, non insegna che la Gerarchia degli Adepti influenzi o diriga attivamente l’attività umana. Ciò sarebbe contrario agli insegnamenti originali del Buddha. Una persona cresce grazie ai propri meriti e non per la pressione esercitata su di lui. L'attività della Gerarchia è limitata a quelle questioni universali che vanno oltre l'attuale livello di illuminazione dell'umanità. Al contrario, gli arhat attendono in meditazione silenziosa di essere trovati da coloro che hanno sete di istruzioni e sono pronti a guadagnarsi il diritto di svilupparsi attraverso la completa dedizione e lo sforzo personale.

In alcune scuole di Buddismo, l’Adepto, o Arhat, è considerato la personificazione del “Super-Io”. Ogni insegnante dell'umanità rappresenta il punto focale della realtà da cui viene mantenuta la personalità illusoria. La ricerca dell’“Io” trascendentale è la ricerca della Gerarchia. Questo dovrebbe essere tenuto presente quando si studiano alcune tradizioni e leggende relative a questi nobili maestri. La verità è la realtà ultima, o Adi Buddha. La Grande Gerarchia rappresenta la rivelazione della verità attraverso tutti i mondi, piani e condizioni di esistenza. Immergendosi nell'oscurità sconosciuta della forma, la verità si dissolve finché non rimane solo un raggio o una particella. Ciascuno di questi raggi è un filo di coscienza e il ricercatore della verità può ascendere lungo questo filo fino a raggiungere finalmente la fonte.

In Cina, gli arhat sono chiamati lohan, o "canti di mantra sacri". Questi lohan, a loro volta, sono personificazioni di verità frammentarie che si rivelano ovunque e incoraggiano un’indagine ponderata. La Legge non è mai del tutto priva di forma, ma crea manifestazioni esteriori che, una volta comprese, aiuteranno il discepolo nel suo lungo viaggio lungo la Via di Mezzo. Coloro che sono attenti, e prima di tutto, alle piccole cose, arricchiscono gradualmente il loro mondo spirituale, espandono le loro capacità trascendentali e silenziosamente ma inevitabilmente avanzano lungo il sentiero della liberazione. L'Arhat, però, si ferma al cancello e ripete il voto del Bodhisattva Avalokiteshvara, che rifiuta di immergersi nella pace profonda finché tutte le creature non avranno accettato l'Insegnamento con i loro cuori. La decisione di sacrificarsi non è presa per ordine o richiesta, è un'accettazione volontaria di responsabilità. Lo studente ritorna a questo mondo come umile monaco, non perché Dio lo esige, ma perché nel profondo della sua anima è spinto a questa decisione da una compassione profonda e straordinaria. Pertanto, gli arhat e gli arhat bodhisattva sono “i più degni”. Hanno dato non solo una parte di ciò che hanno, ma tutto ciò che sono.

Manly Palmer Hall di Los Angeles, California.

Settembre 1953

ARHAT(Pali arahant, sanscrito arhat - “degno”), nel buddismo “ortodosso” Theravada, il livello più alto che può essere raggiunto da un seguace del Buddha che ha preso i voti monastici. A tal fine studia le regole disciplinari e inizia un addestramento morale in quattro parti (sila): 1) rinuncia alla violenza (ahimsa) direttamente e anche indirettamente verso tutti gli esseri viventi e coltivazione della compassione per loro (karuna); 2) evitare l'appropriazione dei beni altrui non solo con le parole, ma anche con il pensiero, nonché con l'invidia; 3) fedeltà al voto di castità, che comprende l'astinenza non solo dai rapporti sessuali, ma anche dai desideri carnali; 4) veridicità: evitare qualsiasi menzogna e assenza di astuzia. Alla formazione morale seguono esercizi di controllo dei sensi, costante attenzione a se stessi e coltivazione della compassione per gli esseri viventi (maitri). Successivamente si può iniziare la contemplazione solitaria, poi le fasi della meditazione (quattro dhyana) e, infine, l’acquisizione dei superpoteri (come vedere le proprie e altrui precedenti reincarnazioni) e la perfezione dell’onniscienza.

Nelle classificazioni della soteriologia Theravadin, arhat è il quarto e ultimo stadio della perfezione, che è preceduto dalle fasi di "entrare nella corrente" del samsara con l'obiettivo di attraversarlo (sotapanna), "tornare una volta" al samsara (sakadagamin) e “non ritornare” ad esso (anagamine). Lo stadio di arhat differisce da questi stadi in quanto egli deve già entrare nel nirvana in questa vita. Nel capitolo dedicato agli arhat, il compilatore del famoso Dhammapada caratterizza il “degno” come segue: “I suoi desideri sono distrutti e non è attaccato al cibo; il suo destino è la liberazione, libero da desideri e condizioni. Il suo percorso, come quello degli uccelli nel cielo, è difficile da comprendere. I suoi sentimenti sono calmi, come cavalli imbrigliati da un conducente. Ha rinunciato al suo orgoglio ed è privo di desideri. Anche gli dei ne sono gelosi” (traduzione di V.N. Toporov), e nei testi Vinaya-Pitaka Un arhat è caratterizzato molto brevemente come un “uomo superiore” (uttaramanussa). I discepoli più vicini al Buddha erano considerati arhat: Ananda, Sariputta, Maudgalyayana e tutte le figure di spicco della prima comunità monastica buddista (anche alcune monache). L'Arhat di tutti gli Arhat è il Buddha stesso: "perfetto, avendo raggiunto la più alta illuminazione, dotato di conoscenza e comportamento [eccellenti], benedetto... insegnante degli dei e delle persone".

Tuttavia, subito dopo la morte del Buddha, nella sua comunità iniziarono le discussioni sull'impeccabilità dell'ideale arhat, che portò al primo scisma significativo nella storia della comunità buddista: la separazione dei Mahasanghika, quando dopo il cosiddetto . Secondo Concilio Buddista alla fine del IV secolo. AVANTI CRISTO. Il “rinnovazionista” Mahadeva affermò che anche un monaco arhat “perfetto”, avendo raggiunto il nirvana, può essere soggetto ad “impurità” corporea e non avere onniscienza. Trattato polemico di Theravadin Kathavatthu (Argomenti di discussione), il cui nucleo dovrebbe essersi formato nel III secolo. a.C., testimonia le polemiche delle “ortodossie” buddiste con gli “eretici” circa la possibilità di impurità corporee in un arhat, la sua capacità di possedere gli stessi “poteri” (iddhi) del Buddha, nonché la possibilità di un profano per ottenere gli stessi risultati (sezioni II-IV). I dubbi dei primi “eretici” divennero la base su cui crebbe tra i mahayanisti la critica coerente all’ideale dell’arhat in quanto tale. La loro principale rivendicazione di questo ideale, che ha trovato la sua espressione più vivida in Vimalakirtinirdesa Sutra(II secolo) e nel Saddharmapundarika-sutra(III secolo), era associato al suo egocentrismo, al quale i Mahayanisti opponevano l'ideale altruistico